Democrazia, monarchia, tirannide, aristocrazia, oligarchia: tutti termini di derivazione greca che ancora oggi
appartengono al nostro linguaggio politico.
C'è però un vocabolo che non è
sopravvissuto in nessuna lingua moderna, quello di politeìa.
Cos'è la politeìa?
Secondo Aristotele la politeìa
è una forma di vita dello Stato, la sua “costituzione”; ma
questo non esaurisce tutta la potenzialità del termine, perchè
politeìa è anche “cittadinanza”: uno stretto rapporto
tra lo Stato (che nell'antica Grecia era la Città-Stato) e il
cittadino, è l'essere cittadino, avere i diritti del cittadino, il
suo modo di vivere come cittadino.
Nella sua “Politica”
Aristotele traduce la ricchezza dell'analisi dell'esperienza politica
delle pòleis greche in una dettagliata classificazione dei
regimi politici, dando ad uno di essi, ossia quello che ritiene il
più equilibrato, il nome stesso di politeìa, che acquisisce
così un ennesimo significato.
Molti filosofi greci hanno ricercato la
politeìa ideale: Platone nella sua “Repubblica” ne
propone una, basata su una città ideale, dove la gerarchia è
conforme al merito, dove la giustizia (in senso meritocratico e
paritario) è applicata nel senso più puro, abolendo la proprietà
privata e la famiglia patriarcale, dando alla donna un ruolo che
ancora oggi, sotto certi aspetti, non ha, stabilendo ruoli, poteri e
doveri con un unico scopo: l'armonia tra gli uomini.
E' difficile tradurre tutto questo
potenziale in un solo termine che possa essere utilizzato tutt'oggi:
il termine “costituzione” è troppo generalistico, “buon
governo” può essere interpretato in vari modi in base alla propria
esperienza politica e sociale, “cittadinanza” oggi non ha il
valore che aveva nell'antica Grecia, dove l'essere cittadini era
tutto.
Forse è Aristotele ad aiutarci a
trovare non un termine, ma una definizione:
“Tutte le costituzioni (politeìai)
che mirano all'interesse comune sono rette e conformi alla vera
giustizia; quelle invece che mirano all'interesse particolare di chi
governa sono viziate e costituiscono tutte degenerazioni delle forme
di governo rette, perchè sono forme di dispotismo, mentre la pòlis
è una comunità di uomini liberi”
La politeìa è quindi quella
forma di governo, quella buona politica, quella costituzione che mira
all'interesse comune: una costituzione equilibrata, bilanciata,
ordinata.
La ricerca della politeìa è
oggi ancora più attuale che ai tempi degli antichi Greci: in questo
momento di crisi politico-socio-economico-istituzionale tutti
cerchiamo la nostra politeìa; cerchiamo una forma di azione
socio-politica che possa soddisfare le esigenze della “vera
giustizia” di cui parla Aristotele, un'azione equilibrata,
bilanciata, ordinata, e aggiungerei “nuova” e “rinnovatrice”.
Leggendo il libro di Giuseppe Civati
“Dieci cose buone per l'Italia che la sinistra deve fare
subito” penso di aver trovato la mia politeìa: riassunta
in dieci capitoli, per un totale di 184 pagine, dove ogni pagina
emana un piacevole profumo di vera politica, buona politica.
Salva la politica,
Corruzione zero,
Fisco 2.0,
Il credito pubblico per abbassare le
tasse,
Uguaglianza è un po' più di equità,
Una questione maschile,
Terra!,
Green vuol dire democratico,
La cultura del futuro,
Il paese dell'innovazione.
Questi sono dieci punti, la cui
trattazione scorre fluida e limpida, come l'acqua alla sorgente,
prima che venga inquinata dall'agire umano: “dieci cose che
cambiano le cose”, questa frase in caratteri maiuscoli in
una pagina bianca apre la trattazione; un po' come avvistare
all'orizzonte la striscia di terra di un nuovo mondo dopo anni di
navigazione in un mare scosso da tempeste di ogni genere.
Se anche voi siete alla ricerca
della politeìa, provate a leggere questo libro, e a pagina
184 scoprirete non di averla trovata, ma di averla ritrovata: perchè
quel “nuovo mondo” è quello in cui viviamo ogni giorno, solo che
prima ci mancavano le 10 chiavi necessarie per aprire la finestra e
guardare di fuori.
Buona lettura.
Il Segretario
Fabio Lamon
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