venerdì 1 giugno 2012

Abolizione delle Province. Vero risparmio o soluzione schiava dell'antipolitica? Analisi e controproposte.

L’art.23 della manovra del Governo Monti (D.L.201/2011) prevede di fatto l’annullamento del livello provinciale del governo locale, da un lato trasferendo, le funzioni ai comuni o alle regioni, dall’altro tagliando decisamente il numero degli amministratori e modificando il sistema di elezione (abolizione delle giunte provinciali, elezione indiretta di non più di 10 consiglieri provinciali, tra i quali viene nominato il presidente).
Come emerge dai tabulati dell'Unione delle Province, nel 2011 le spese sono state  di 11 miliardi e 618 milioni, con una riduzione del 14% rispetto al 2008, e che presidenti, assessori e consiglieri sono 1.174 con un costo di 122 milioni l'anno. 


Il costo complessivo per lo Stato nel capitolo "Province" è sostanzialmente di 11 miliardi e 740 milioni di euro all'anno.

Bisogna però fare una netta distinzione.

Un recente studio della Bocconi (che potete scaricare QUI) afferma infatti che le Province svolgono funzioni essenziali, che in caso di loro soppressione andrebbero trasferite ad altri, a fronte di un risparmio (i cosiddetti costi della rappresentanza democratica) di solo l'1,4%, pari a circa 122 milioni di euro l'anno, rispetto alla spesa pubblica complessiva del Paese.
Ma sono cinque le funzioni che assorbono la maggior parte della spesa delle Province (cosiddette funzioni "core", fondamentali); due di esse in particolare, gestione del territorio e istruzione pubblica, richiedono ciascuna una spesa di oltre di due miliardi di euro. Trasporti e sostegno allo sviluppo economico assorbono tra 1 e 1,5 miliardi di euro; la tutela ambientale, infine, comporta una spesa intorno agli 800 milioni di euro. Le funzioni relative a sociale, cultura, turismo e sport, incidono per circa 850 milioni di euro; la funzione di amministrazione, gestione e controllo oltre 3 miliardi di euro (il 26% del totale). Tutti questi costi, quindi, riguardano funzioni essenziali, che dovranno comunque essere espletate.
I restanti 2,9 miliardi sono investimenti (vedi ricerca Bocconi come indicato sopra).
Ecco quindi che 3/4 (8 miliardi) di quello che si pensava fosse il "risparmio" rientrerebbe dalla finestra: perché sarebbero spese che cambierebbero semplicemente denominazione, ossia da spese "provinciali" a spese "comunali" o "regionali"; rimangono fuori dal calcolo i 2,9 miliardi di investimenti, certo, ma non si può parlare di "risparmio" vero e proprio, per il semplice fatto che senza investimenti l'economia ristagna e la recessione cavalca, basta solo pensare alla nostra situazione economica attuale per rendersi conto che quello non è un risparmio, ma un danno.

Non solo, la ricerca della Bocconi non tiene conto del fatto che comunque rimarranno in carica 10 consiglieri e un presidente, quindi, secondo i dati dell’Unione Province Italiane, il costo dei 1774 amministratori provinciali si ridurra’ di 34 milioni di euro (quindi non di 122 milioni).

Inoltre, ed è questo il dato fondamentale, non si tiene conto né dell’impatto del trasferimento del patrimonio e delle competenze, né dell’aggravio del passaggio del personale dipendente alle Regioni.
E' una norma che non tiene conto dell’aumento della spesa pubblica, pari ad almeno il 25% in più, che si avrebbe dal passaggio del personale delle Province (56.000 unità) alle Regioni o dal trasferimento di competenze di area vasta ai Comuni.
Il decreto non considera l’impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle Province avrà sui bilanci e sull’organizzazione delle Regioni e dei Comuni già oggi gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro Patto di Stabilità. 
Inoltre non considera la difficoltà a computare e trasferire il patrimonio e il demanio delle Province: 125.000 chilometri di strade, oltre 5.000 edifici scolastici, 550 centri per l’impiego, sedi, edifici storici, partecipazioni azionarie, dotazioni strumentali. 
La norma rischia di avere effetti devastanti sulle economie locali poiché produrrà il blocco totale degli investimenti programmati e in corso delle Province, perché i mutui contratti dalle Province, nei casi in cui questo fosse possibile, dovrebbero essere spostati alle Regioni o alle altre amministrazioni locali, con il serio rischio di interrompere la gestione delle attività e dei connessi importantissimi flussi di spesa. 
La norma infine  impone una modifica della normativa tributaria, poiché le entrate tributarie, patrimoniali e proprie delle Province dovranno passare in quota parte a Regioni e Comuni per garantire il finanziamento delle funzioni, proprio nel momento in cui si stanno verificando le condizioni per il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard nelle Province attraverso l’attuazione delle norme sul federalismo fiscale.

Insomma, la scelta del Governo sembra dettata da una logica ostaggio dell'antipolitica e della demagogica ricerca di un "risparmio" da poter dare in pasto all'opinione pubblica, sempre più insofferente.

E' necessaria però una controproposta, perché non è comunque possibile mantenere lo status quo, e il Piemonte si è rivelato pioniere di un'idea che è stata ora allargata a tutta l'Italia: ossia l'accorpamento delle Province.

Riporto in parte un pensiero di Antonio Saitta, Presidente della Provincia di Torino:

"In Piemonte stiamo dando un contributo concreto alla riduzione della spesa pubblica, con la proposta di ridurre il numero delle Province piemontesi, decisione assunta da tutti gli otto Presidenti. La nostra proposta per il Piemonte prevede di tornare a quattro Province (Torino, Cuneo, Alessandria- Asti, Novara-Vercelli-Biella-Verbano Cusio Ossola). Dopodiché però si pensi anche nel resto d'Italia ad eliminare le provincie piccole, spesso nate per esigenze del mondo associativo economico (Camera di Commercio,...), poi per decisione della apolitica, a volte per un consenso immediato.
Partendo dalle Provincie occorre però ripensare anche all'organizzazione generale dello Stato, si riducano i tanti uffici periferici dello Stato, le Prefetture, i provveditorati dei Lavori Pubblici...
Riducendo le Provincie si pensi anche ad eliminare i tanti enti nati in questi anni che non corrispondono ad esigenze di miglioramento della Pubblica Amministrazione. Riducendo le Provincie, abolendo gli enti inutili, riducendo gli uffici periferici dello Stato il risparmio certo sarebbe di 5 Miliardi di Euro. Il contributo alla riduzione della spesa pubblica non può essere solo sulle spalle degli Enti locali.
Importante poi che sia presto approvato il Codice della Autonomie Locali, perché occorrono responsabilità sulle competenze, non tutti posso esercitare stesse competenze con sovrapposizioni, perché ciò porta alla deresponsabilizzazione degli stessi amministratori. I cittadini chiedono un'amministrazione semplice, vogliono sapere a chi devono rivolgersi per avere risposte precise. Noi sappiamo che alcune nostre competenze potrebbero essere esercitate dai Comuni, così come alcune competenze oggi in carico alle Regioni andrebbero passate alle Province"


Dall'esempio piemontese ha preso spunto l'Unione delle Province, che ha presentato la sua controproposta all'abolizione: riduzione del numero delle province, dalle attuali 107 a 60, istituzione di aree metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria), accorpamento degli enti territoriali dello Stato, ma soprattutto cancellazione di enti, agenzie, consorzi e la ridefinizione delle loro funzioni evitando sovrapposizioni.

Mi sembra un'idea sensata, razionale, logica e reale: degna di essere presa in seria considerazione dal Governo, il quale sicuramente si è accorto della palude in cui si è autonomamente infilato e che sta cercando ora una via d'uscita.

(Allego un'altra ricerca creata da "quattrogatti info")




Il Segretario

Fabio Lamon




















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